C’è un nesso fra Covid-19 e gli allevamenti cosiddetti intensivi? Ecco come risponde Daniel Marc, veterinario virologo e ricercatore Inrae.
E’ di moda pensarlo e dirlo: chi mette in discussione l’allevamento intensivo si convince che sia la causa di tutti i mali, comprese le epidemie e la pandemia che stiamo vivendo. E invece “i legami tra agricoltura intensiva e le epidemie sono eccezionali” secondo Daniel Marc, veterinario e ricercatore in malattie infettive e virologia molecolare presso Inrae (Institut national de recherche pour l’agriculture, l’alimentation et l’environnement) l’istituto per la ricerca in agricoltura del Governo francese. Daniel Marc è stato invitato a parlare di Covid-19 e attività zootecniche dal notiziario La Croix, in seguito alle iniziative di un movimento di opinione.
“Un agente infettivo non nasce mai dal nulla- ha spiegato- che si tratti di Ebola, HIV o del morbillo, i virus provengono sempre dagli animali”. Poi ci sono “le contaminazioni provocate da un ospite intermedio, attraverso le quali il virus si adatta all’uomo, come è il caso, ad esempio, dei coronavirus (la SARS del 2003 si era adattata nello zibetto). Infine si può essere infettati dal morso di un vettore, come il virus Zika o la febbre gialla trasmessa dalle zanzare. Pertanto, è logico che alcune zoonosi arrivino a noi attraverso l’attività zootecnica, ma è una evenienza ben lontana dal poter essere considerata la norma”.
“Ci sono dei precedenti, ovviamente, ma sono eccezioni- ha aggiunto Marc che comunque ne indica fondamentalmente due: “Uno è la pandemia influenzale dell’influenza A (H1N1) del 2009, ad esempio, è stata il risultato di oltre dieci anni di assemblaggio virale tra ceppi virali di origine aviaria, ceppi suini e un ceppo umano che formato nei suini. È stato negli allevamenti di suini che ha potuto trovare una forma che si adatta a noi e che si è diffusa nella popolazione. L’altro è il virus Nipah, che ha ucciso circa 100 persone in Malesia nel 1998. È stato anche trasmesso dai pipistrelli all’uomo attraverso gli allevamenti di suini. In questo caso, gli allevamenti di suini erano stati costruiti su aree disboscate che invadevano l’ambiente naturale dei pipistrelli.
Al dunque: cambiare il nostro modello agricolo avrebbe un impatto sul rischio epidemico? “Secondo me l’allevamento intensivo o estensivo non cambia nulla”- risponde Daniel Marc. “In entrambi i casi, è il fatto di essere in contatto con gli animali a spiegare la trasmissione, non il loro numero o le loro condizioni di allevamento. Abbiamo persino un paradosso in questo momento con l’epidemia di influenza aviaria. Colpisce principalmente il sud-ovest perché c’è l’allevamento di anatre all’aperto e il virus proviene dallo stato selvatico. Al contrario, gli allevamenti intensivi di pollame, molto numerosi in tutta Europa, ne sono protetti perché confinati”.
E allora come si spiegano epidemie e pandemie? “Una delle spiegazioni è che siamo sette miliardi di esseri umani rispetto ai due miliardi all’inizio del XX secolo. Abbiamo una densità di popolazione molto più elevata e l’aumento del flusso di merci e persone consente agli agenti infettivi di diffondersi in pochi giorni in tutti i continenti, soprattutto tramite trasporto aereo. Detto questo, un’epidemia rimarrà un evento eccezionale e difficile da prevedere, proprio come un vulcano in eruzione o un terremoto. Se dobbiamo credere a fonti storiche scritte risalenti a prima del XX secolo, possiamo vedere che ci sono circa tre o quattro epidemie di influenza per secolo, e questo molto prima della nascita del nostro modello agricolo.
Che fare? “Penso che si debba convivere con questo rischio e rispondere scientificamente. Siamo già riusciti a sradicare virus, come il vaiolo (era il 1978). E’ stato un fatto eccezionale, reso possibile solo dalla volontà di tutti gli attori coinvolti e dall’assoluta fiducia nella scienza e nella vaccinazione”- ha concluso Daniel Marc.
Covid-19 : ”Les liens entre élevage intensif et épidémies sont exceptionnels”