Nel 2015 nell’Unione europea sono morte per cancro 1,3 milioni di persone, più di un quarto dei decessi totali e Robin Cristofari, un biologo dell’università finlandese di Turku, spiega su Horizon che «Nonostante negli ultimi anni il trattamento del cancro sia migliorato, il tasso di persone diagnosticate è in aumento. Una ragione è che le persone vivono più a lungo, il che significa che sono a maggior rischio di sviluppare e morire di cancro». Nell’Ue i tassi di mortalità per cancro sono 13 volte più alti tra le persone che superano i 65 anni rispetto a quelli dei più giovani. Cristofari spiega ancora: «Il cancro si verifica quando si riproducono le mutazioni delle cellule. Più una persona è anziana, maggiore è la probabilità che le cellule si duplichino in un tumore maligno. La prevenzione è quindi fondamentale. E questo è qualcosa su cui gli elefanti eccellono. Si dice che essere un mammifero grande e longevo con molte più cellule di un essere umano dovrebbe in effetti aumentare le probabilità di sviluppo di un elefante, ma non è questo il caso. Gli elefanti hanno un buon modo per prevenire le cellule del cancro e questo è distruggerle prima che facciano danni».
Cristofari sta cercando di capire «Perché un animale che dovrebbe essere una ” tumour machine” sia in realtà molto efficace nella lotta contro il cancro». Per farlo ha sequenziato il genoma degli elefanti asiatici ce ha scoperto molte copie di un gene speciale chiamato TP53, che dice che «E’ come un coltellino dell’esercito svizzero per il controllo del cancro. Agisce come neutralizzatore del tumore e prende il comando dell’azione ogni volta che ci sono cellule tumorali presenti, adattandosi a ucciderle a ripararle». Gli esseri umani hanno solo una copia di questo gene.
Nell’ambito del progetto Genomics of Aging in Elephants, Cristofari sta tentando di “sbrogliare” ulteriormente i geni degli elefanti per capire come fanno a combattere il cancro. Horizon scrive che «Lo farà mettendo il sangue di elefante in una macchina di sequenziamento genetico che trasformerà le informazioni biologiche in una serie di lettere, che finirà come un testo lungo circa 4 miliardi di caratteri. Cristofari quindi lo analizzerà per trovare modelli genetici che potrebbero rivelare come TP53 interagisce con il cancro». Cristofari evidenzia che «L’idea è di capire come si sono evoluti gli elefanti per diventare così efficaci nella lotta contro il cancro e vedere se questa conoscenza potrebbe ispirare una prevenzione del cancro innovativa negli esseri umani».
Un altro modo per ridurre il rischio di sviluppare il cancro è quello di migliorare i tassi di invecchiamento, cioè rallentare la velocità del deterioramento cellulare, il che significa che le persone anziane potrebbero continuare a produrre più a lungo cellule sane.
Virpi Lummaa, dell’ Human life-history group dell’università di Turku, ricorda su Horizon che «Abbiamo bisogno di modi migliori per vivere più sani più a lungo, perché le nostre vite si stanno prolungando, come hanno già fatto negli ultimi 100 anni».
Anche la Lummaa sta studiando gli elefanti per saperne di più su come i loro tassi di invecchiamento potrebbero aiutare gli esseri umani a invecchiare bene: «Quello che vorremmo fare è sviluppare degli indici dai campioni di sangue che preleviamo che ci mettano in grado di prevedere quali individui invecchieranno più velocemente e perché».
La scienziata finlandese fa notare che «Nonostante le loro zanne, le grandissime orecchie e un corpo gigantesco, gli elefanti condividono una vita, una storia riproduttiva e una struttura familiare simili a quella degli esseri umani, rendendoli esemplari perfetti da studiare. A volte, questi grandi mammiferi hanno anche una buona documentazione medica e questo per i ricercatori significa più dati relativi all’età da analizzare. Nel Myanmar ci sono una quantità enorme di elefanti impiegati nell’industria del legname. Questi elefanti vanno dal veterinario ogni due settimane per determinare se sono in buona salute o no. Possiamo usare questi documenti storici conservati per tutta la vita per vedere quanto hanno lavorato e come la loro storia medica e il loro lavoro abbiano influenzato il loro invecchiamento più tardi nella vita».
Mettendo insieme questi dati dettagliati e i campioni di sangue, la Lummaa spera di riuscire a capire come l’attività e la salute durante la vita degli elefanti stiano influenzando gli indicatori biologici dell’invecchiamento, come la lunghezza dei telomeri, una struttura cellulare che si accorcia con l’età, e ppera che questo le permetta di prevedere perché alcuni elefanti invecchiano più velocemente di altri.
Questo insieme ad altri cambiamenti cellulari, dovrebbero fornire solide ipotesi sul tasso di invecchiamento biologico sia negli animali che negli esseri umani, consentendo ai ricercatori di capre come il deterioramento delle cellule sia legato a fattori come malattie permanenti, la riproduzione e lo stress. La Lummaa spiega ancora: «Se sappiamo quali sono i fattori fondamentali per un invecchiamento sano e per determinare la durata della vita in un animale che vive per 70 anni, è probabile che tali risultati siano ampiamente applicabili alla nostra speci».
Dai primi risultati di questa ricerca emerge che i cuccioli di elefante hanno un tasso di invecchiamento più veloce se sono nati da madri stressate durante la gravidanza a causa del lavoro o di condizioni climatiche avverse. La Lummaa dice di non sapere ancora esattamente perché questo accada, ma crede che «Questa scoperta sia solo uno degli esempi dei molti che possono essere rivelati in 2 anni, entro la fine del progetto. Spero di scoprire qualche tipo di intervento che possa migliorare l’invecchiamento degli elefanti. Se notassimo che alcuni animali sono a rischio potremmo sviluppare raccomandazioni su quali animali dovrebbero essere trattati in un modo specifico, il che potrebbe alla fine portare a un collegamento sul modo in cui il nostro stile di vita, sistema immunitario e nutrizione influenzano il modo in cui invecchiamo. Capire quale stile di vita e fattori di salute portano un invecchiamento fisico più rapido negli elefanti e perché, ci fornirà un’opportunità per prevenire in futuro processi simili negli esseri umani ».
Anche Cristofari studierà gli stessi elefanti asiatici in Myanmar e unirà il suo filone di ricerca con quello della Lummaa. Entrambi sperano che questo possa aiutarli a rivelare ulteriori informazioni su TP53 e sui tassi di invecchiamento.
La Lummaa conclude: «Una volta che sarà possibile genotipizzare questi elefanti e creare background link con le loro differenze nell’invecchiamento, potremo esaminare i fattori dello stile di vita e vedere come questo interagisce con la genetica».