Nello studio “Whence they Came – Antibiotic resistant Escherichia coli in african wildlife” pubblicato sul Journal of Wildlife Diseases, Sarah Elizabeth Jobbins, del Polytechnic Institute e dell’ Univesità statale della Virginia e Kathleen Ann Alexander, del Centre for Conservation of African Resources Animals, Communities and Land use (CARACAL) del Botswana, sottolineano che «L’emergere della resistenza agli antibiotici è probabilmente la minaccia più importante per la salute umana e animale». Gli impatti dell’utilizzo degli antibiotici possono avvenire molto lontano dal luogo dove sono stati prescritti e la fauna selvatica può diventare un vettore per diffonderli sul territorio «contribuendo alla diffusione della resistenza antimicrobica all’interno e tra i diversi bacini».
Le due ricercatrici hanno analizzato la resistenza antimicrobica e la life history di specie selvatiche e domestiche a Chobe, in Botswana, per cercare di capire quali siano i principali attributi e comportamenti che possono aumentare l’esposizione e consentire alla resistenza ahgli antibiotici di passare dagli esseri umani agli animali ed agli ecosistemi. Le scienziate spiegano che «Tra i 150 campioni di feci di animali africani valutati, il 41,3% conteneva Escherichia coli isolati che erano resistenti a uno o due dei 10 antibiotici testati, e il 13,3% degli isolati hanno dimostrato resistenza multimedicinale (a tre o più antibiotici)».
Una resistenza diffusa ma non onnipresente ad almeno uno degli antibiotici testati è stata rilevata tra la i campioni della fauna fecale, mostrando modelli simili di resistenza all’E. coli umano provenienti da fonti ambientali e cliniche. LO studio evidenzia che «La multidrug resistance era significativamente più alta nei carnivori, nelle specie associate all’acqua e nelle specie che vivono nelle urbane, suggerendo che life history può essere la chiave per comprendere l’esposizione i modelli e le dinamiche di trasmissione in ambienti eterogenei».
L’ emergere di batteri resistenti ai farmaci – come la tubercolosi e lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina – è una minaccia sempre più pericolosa per la salute pubblica in tutto il mondo. Molti studi avevano già documentato la presenza di batteri resistenti agli antibiotici negli animali selvatici, anche se si sa poco di come questi microbi si sviluppano e se possono essere trasmessi agli esseri umani.
La resistenza ai farmaci negli animali selvatici può svilupparsi da sola, ma può anche essere accelerata dall’ esposizione a rifiuti umani o ai reflui agricoli con tracce di antibiotici. Il nuovo studio è preoccupante perché ha scoperto microbi resistenti ai farmaci in una grande varietà di fauna selvatica africana che sono simili a quelli trovati negli esseri umani che vivono nei villaggi vicini.
I 150 campioni di feci raccolti nel 2011 dalle due ricercatrici appartengono a 18 specie di fauna selvatica e sono stati confrontato con 200 campioni provenienti da esseri umani che vivono nel nord del Botswana e poi testati per i ceppi resistenti agli antibiotici dei comuni batteri intestinali Escherichia coli. Poi Jobbins, e Alexander hanno misurato la resistenza contro 10 antibiotici di largo uso, compresi quelli utilizzati per prevenire e curare malattie come la malaria e la tubercolosi. Il team ha scoperto che oltre il 40% di fauna selvatica, compresi leopardi, iene, elefanti, coccodrilli, babbuini e giraffe, e più del 94% negli esseri umani ospitava E. coli resistenti ad almeno un antibiotico, si segnala questo mese nel Journal of Wildlife Diseases. Inoltre, più del 10% degli animali e il 70% degli esseri umani erano resistenti a tre o più antibiotici comuni. Gli esseri umani e gli animali selvatici hanno lo stesso tipo di resistenza ad ampicillina, doxiciclina, streptomicina, tetraciclina, e trimetoprim/sulfametossazolo. La Doxiciclina viene utilizzata spesso dai turisti occidentali per proteggersi dalla malaria. Il Cotrimoxazole viene dato ai pazienti affetti da AIDS per proteggersi dalle infezioni. Una diffusa resistenza a questi farmaci potrebbe in futuro vanificarne l’efficacia.
La resistenza agli antibiotici è più comune negli animali acquatici – come coccodrilli e ippopotami – che vivono vicino a villaggi densamente abitati. Le ricercatrici non sanno ancora con certezza quale sia il rapporto tra la resistenza umana e animale, ma in sospettano che il vettore sia l’acqua.
La Alexander conclude: «In un ambiente in cui non ci sono agricoltura intensiva o di allevamenti animali commercial, il nostro prossimo passo sarà quello di stabilire il motivo per cui stiamo vedendo questi modelli».