Molto probabilmente gli asini furono addomesticati per la prima volta dai pastori che circa 7000 anni fa vivevano nell’attuale Kenya e nel Corno d’Africa, leggermente prima di quanto si credesse in precedenza, poi si sarebbero diffusi rapidamente dall’Africa all’Asia e all’Europa, 4.500 anni fa. Alcuni studi avevano suggerito che potrebbero esserci stati altri tentativi precedenti di addomesticare gli asini nello Yemen, ma lo studio “The genomic history and global expansion of domestic donkeys”, pubblicato nel settembre 2022 su Science da un folto team internazionale di ricercatori, ha risolto il mistero dell’addomesticamento degli asini e, forse più sorprendentemente, ha concluso che tutti gli asini moderni che vivono oggi sembrano discendere da quel singolo evento di addomesticamento di 7000 anni fa.
Lodovic Orlando, del Centre d’Anthropobiologie et de Génomique de Toulouse (CAGT), CNRS, che guida l’intero studio globale sugli asini e il team di ricerca che ha pubblicato lo studio su Science (del quale facevano parte anche Matilde Marzullo e Ornella Prato, Umberto Tecchiati, Giovanna Bagnasco Gianni dell’università degli Studi di Milano, Antonio Tagliacozzo e Francesca Alhaique del Museo delle Civiltà di Roma e Vincenzo Tiné della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, Verona), ricorda che, «Per quanto sorprendente possa sembrare, l’origine e il momento preciso del primo addomesticamento degli asini è rimasto, per la scienza, un mistero particolarmente difficile da risolvere. Le varie fonti, sia testuali che archeologiche, non concordavano sulla localizzazione che variava tra l’Africa nord-orientale, la penisola arabica e la Mesopotamia. Abbiamo quindi deciso di sequenziare il genoma degli asini che vivevano in regioni fino ad allora troppo poco studiate. Un approccio che doveva rivelarci importanti pezzi mancanti del puzzle, ma che da solo non poteva bastare: la mappatura genetica degli asini viventi oggi non riflette del tutto le lontane origini dell’animale ma, in parte, il commercio tra Paesi a volte molto distanti».
Come ha spiegato la principale autrice dello studio, Evelyn Todd, anche lei del CAGT CNRS, «Gli asini contemporanei che vivono in Africa, Europa o Asia mostrano evidenti distinzioni genetiche. Le diverse linee genetiche corrispondono a diverse separazioni delle popolazioni di asini nel tempo. Le prime tracce africane dell’asino risalgono a 7.000 anni prima della nostra epoca, quando il Sahara si stava trasformando nel territorio arido che conosciamo oggi». La desertificazione del Sahara è iniziata con un brusco indebolimento del monsone circa 8.200 anni fa e con un incremento di incendi e una maggiore attività umana sotto forma di pascoli e incendi portarono a una diminuzione delle precipitazioni e alla graduale espansione del deserto nel Sahel. Gli asini addomesticati potrebbero essere stati cruciali per adattarsi a questo ambiente sempre più duro.
Il cavallo fu addomesticato 3000 anni dopo l’asino, nelle steppe del Caucaso che poi divennero quasi desertiche. Orlando evidenzia che «Le stesse cause producono gli stessi effetti. L’addomesticamento del cavallo fu una risposta degli uomini e delle donne che vivevano in quel momento in quella parte del mondo per aumentare la loro mobilità. E così si vede chiaramente come la motivazione dell’addomesticamento del cavallo sia stata quella di un altro tipo di inaridimento, a latitudini molto diverse».
4.500 anni fa, gli asini uscirono dall’Africa per diffondersi in Asia e in Europa in meno di un millennio. Ma la loro diffusione non fu a senso unico: le prove indicano che tornò in Africa, in particolare nell’Africa occidentale, grazie al commercio di asini attraverso il Mar Mediterraneo, durante l’epoca romana.
E proprio all’epoca romana si riferisce il nuovo studio “Historical management of equine resources in France from the Iron Age to the Modern Period”, pubblicato sul Journal of Archaeological Science: Reports, da un team di ricercatori francesi e catalani guidato da Sébastien Lepetz, dell’Archéozoologie, Archéobotanique: sociétés, pratiques et environnements (AASPE) del CNRS e del Muséum national d’histoire naturelle, e da Orlando, e che ha ha portato alla luce i resti di diversi asini giganti che per dimensioni fanno impallidire la maggior parte delle specie che conosciamo oggi. Orlando spiega che «Questi erano asini giganteschi, questi esemplari, geneticamente legati agli asini aficani, erano più grandi di alcuni cavalli. Gli asini allevati nella villa romana di Boinville-en-Woëvre misuravano 155 cm (61 pollici, o 15 mani – un’unità per misurare l’altezza del cavallo) dal suolo al garrese. L’altezza media degli asini oggi è di 130 cm (51 pollici/12 mani). Gli unici asini moderni che potrebbero avvicinarsi sono gli American Mammoth Jacks, asini maschi insolitamente grandi e spesso usati per la riproduzione. Gli asini giganti come quelli trovati a Boinville-en-Woëvre potrebbero aver avuto un ruolo importante ma sottovalutato nell’espansione dell’Impero Romano e nei suoi successivi tentativi di mantenere il suo territorio. Tra il II e il V secolo, i romani li allevavano per produrre muli [incrociandoli con cavalli] che svolgevano un ruolo chiave nel trasporto di attrezzature e merci militari. Sebbene vivessero in Europa, sono stati allevati e mescolati con asini provenienti dall’Africa occidentale». All’epoca (e per molti secoli dopo) i muli, sebbene sterili, erano apprezzati per le loro grandi capacità fisiche e venivano utilizzati in maniera massiccia dall’esercito e dai mercanti. L’evidenza genetica trova riscontro nei testi degli scrittori romani che descrivono che l’allevamento selettivo di animali di statura eccezionale era già pratica comune e base di un lucroso commercio. «Questa è la bellezza del DNA antico, che fornisce dati che ci permettono di verificare ipotesi provenienti da altre fonti storiche», chiosa Orlando.
Ma probabilmente il declino dell’Impero Romano fu determinante per la scomparsa di questa gigantesca razza di asini. «Se non hai un impero largo migliaia di chilometri, non hai bisogno di un animale che trasporta merci su enormi distanze – ha detto Orlando a Future BBC – Non c’era alcun incentivo economico per continuare a produrre grandi muli».
Tornando all’origine della domesticazione degli asini, Orlando ribadisce; «Riteniamo che a causa dei cambiamenti climatici, le popolazioni [umane] locali si siano dovute adattare. Negli asini, avrebbero potuto sfruttare un servizio essenziale di trasporto di grandi quantità di carico su lunghe distanze e in territori difficili».
I ricercatori hanno anche notato che, dopo essere stata inizialmente addomesticata, la popolazione di asini sembra aver subito una drastica diminuzione delle sue dimensioni, per poi aumentare di nuovo bruscamente. «Questo è qualcosa di tipico dell’addomesticamento e che si osserva in quasi tutte le specie domestiche in un determinato momento – dice la Todd – La diminuzione è il risultato della selezione di uno specifico ceppo di asini per l’addomesticamento e successivamente dell’allevamento ad hoc, che ha contribuito al loro forte aumento».
I due studi suggeriscono che gli asini si sarebbero diffusi dall’Africa orientale attraverso scambi con le popolazioni a nord-ovest che vivevano negli attuali Sudan e poi in Egitto, dove i resti di asini sono stati trovati in siti archeologici risalenti a 6.500 anni fa. Nei successivi 2500 anni, questa nuova specie addomesticata si è diffusa in tutta Europa e in Asia, sviluppando i lignaggi che si trovano ancora oggi.
Secondo l’archeologo austriaco Laerke Recht dell’Universität Graz, «Grazie alla resistenza degli animali e alla capacità di trasportare carichi pesanti, gli asini hanno fatto un’enorme differenza nella capacità dell’umanità di trasportare merci su lunghe distanze via terra. Mentre fiumi come l’Eufrate e il Tigri in Mesopotamia e il Nilo in Egitto potevano essere utilizzati per il trasporto di merci pesanti e/o alla rinfusa, gli asini hanno significato un massiccio aumento e un’intensificazione dei contatti via terra. Questo coincise con il crescente utilizzo del bronzo durante il terzo millennio a.C. Gli asini potevano trasportare il rame pesante su lunghe distanze e in aree dove non poteva essere trovato naturalmente (o solo in quantità molto piccole), inclusa la Mesopotamia. Ma, durante la stessa epoca, gli asini e altri equidi hanno anche cambiato la guerra: si è iniziato a vederli davanti a veicoli a ruote che prendevano parte a battaglie, oltre fornivano il trasporto per le provviste necessarie per un esercito invasore. Gli asini erano così apprezzati da essere presenti anche in importanti rituali. Sia in Egitto che in Mesopotamia, gli asini erano considerati abbastanza importanti da essere sepolti con gli esseri umani, in alcuni casi, anche con re o sovrani. Ci sono anche esempi di asini sepolti da soli. Nel secondo millennio AC gli asini venivano sacrificati anche per i cosiddetti depositi di fondazione o di costruzione e come parte di un rituale associato alla firma dei trattati».
I resti più antichi studiati dal team di Orlando sono tre asini dell’età del bronzo trovati in Turchia. La Todd spiega che «Sono stati datati al radiocarbonio a 4.500 anni fa e hanno un corredo genetico simile alle moderne sottopopolazioni asiatiche. Il che suggerisce che la sottopopolazione asiatica dell’asino addomesticato si sia separata da altri lignaggi in quel periodo».
Se il tracciamento della dispersione degli asini è stato reso possibile grazie all’analisi del più vasto dataset di genomi antichi e moderni della specie, questo ha anche contribuito a identificare lignaggi ancora sconosciuti . E’ il caso di un asino che visse nel Levante due millenni fa, ma che sicuramente occupò una regione molto più vasta perché se ne trova traccia negli asini moderni dell’Europa orientale, oltre che dell’Asia centrale e orientale. Inoltre, gli scienziati rivelano che «Anche gli asini selvatici hanno contribuito ad arricchire il patrimonio genetico delle loro controparti domestiche in diverse parti del mondo». Per la Todd, «Questo è sicuramente dovuto alla gestione all’aperto delle popolazioni locali di asini in alcune regioni dell’Africa e della penisola arabica».
Gli studi rivelano che ci sono state differenze fondamentali nei metodi che hanno portato all’addomesticamento degli asini e dei cavalli. A differenza dei cavalli, la consanguineità tra gli asini non è particolarmente aumentata nei tempi moderni, suggerendo strategie riproduttive simili oggi e in passato.
La ricerca conferma anche che gli asini sono stati un compagno molto più costante degli esseri umani rispetto ai cavalli. Orlando ricorda che «I moderni cavalli domestici, addomesticati circa 4.200 anni fa, hanno avuto un impatto grandissimo sulla storia umana. Ora, il nostro studio rivela che l’impatto degli asini è ancora di più esteso».
Un’utilità duratura degli asini che in qualche modo in contrasto con la poca attenzione che hanno ricevuto rispetto a cavalli e cani. Mentre oggi gli asini sono in gran parte trascurati in molte parti del mondo, tuttavia, in alcuni Paesi sono ancora importanti come in passato. La Todd conferma: «L’asino è un animale importante nella vita quotidiana di milioni di persone in tutto il mondo. La sua popolazione aumenta dell’1% ogni anno. Sebbene nei Paesi sviluppati gli asini non vengano utilizzati nella vita quotidiana, in molte comunità in via di sviluppo, in regioni tra cui l’Africa e la penisola arabica, le persone fanno ancora affidamento sugli asini per gli spostamenti di persone e merci. La comprensione della composizione genetica degli asini potrebbe anche aiutare a migliorare il loro allevamento e la loro gestione in futuro».
Una domanda chiave alla quale i ricercatori sperano di rispondere negli studi futuri è trovare un parente stretto dell’asino addomesticato in natura. Orlando, la Todd e i loro colleghi hanno identificare tre candidati. «Sappiamo che l’asino è un discendente dell’asino selvatico africano – ha detto la Todd a Future BBC – Ci sono tre sottospecie che conosciamo: una di esse si estinse nel 200 d.C. in epoca romana, la seconda è probabilmente estinta in natura e la terza è in pericolo di estinzione. Tuttavia, è necessario ulteriore lavoro per sapere se siano esistite o se esistano altre sottospecie non ancora identificate dell’asino selvatico africano, il che aiuterebbero a migliorare ulteriormente la nostra comprensione della storia genetica dell’asino e forse a rivelare di più sull’importante ruolo che hanno svolto nella nostra storia».
Eppure l’asino intelligente e paziente e nostro fedele compagno da millenni vene spesso accostato alla stupidità: chi non va bene a scuola è un asino, oppure di qualcuno si dice che è cicciuto come un asino, e questo nonostante un asino fosse a sorvegliare e riscaldare la culla di Gesù in una stalla a Betlemme e che sia su un asino che Cristo ha fatto il suo ingresso trionfale a Gerusalemme. Ma Orlando conclude con un’appassionata difesa dell’asino: «Animale nobile per eccellenza, in senso letterale: l’animale prediletto della nobiltà. L’asino da soma non è stupido. E’ un animale favoloso, raffinato, che può risolvere problemi di logica. Quindi penso che dire “stupido come un asino” rifletta principalmente l’entità della nostra stessa stupidità. Tante volte, questa “testa di mulo” si intestardisce per mancanza di un interlocutore che riesca ad entrare nella sua stessa logica. Siamo tutti l’asino di qualcun altro».