LAMPEDUSA (AGRIGENTO) 16/06/2011 – Quando i militari della Guardia di Finanza si sono accostati con la loro motovedetta per l’ennesima operazione di soccorso sono rimasti interdetti. A bordo del barcone, insieme a un piccolo drappello di migranti partiti dalla Tunisia, spiccava infatti la presenza di una pecora che belava placidamente sotto gli occhi allibiti dei finanzieri. La cronaca degli sbarchi a Lampedusa si è così arricchita di un nuovo capitolo dai contorni vagamente surreali.
“I tunisini li rimpatrieremo, la pecora non lo so”, ha scherzato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Una volta giunti in porto, i 19 tunisini, tra i quali sei donne e un bambino, hanno infatti offerto versioni diverse per giustificare la presenza di quell’insolito “passeggero”. Inizialmente hanno parlato della necessità di assicurare al bambino il latte necessario per la traversata, che sarebbe potuta durare anche alcuni giorni. Ma è stato lo stesso proprietario dell’animale a far sorgere i primi dubbi.
“Me l’ha regalata mia madre per festeggiare una volta giunti a Lampedusa”, ha detto con un sorriso ironico agli operatori umanitari protestando perché non gli consentivano di portarla con sé nel Centro di accoglienza. Insomma una trovata goliardica, forse per stemperare la tensione. Proprio nelle secche attorno alle isole di Kerkennah, la zona sud orientale della Tunisia da dove è partito il barcone, appena qualche settimana fa si era infatti consumata l’ennesima strage di migranti.
A rafforzare l’ipotesi di uno scherzo c’é anche un altro particolare: il proprietario della pecora e un altro tunisino suo amico sono stati riconosciuti dagli operatori del Centro, visto che erano stati rimpatriati da Lampedusa appena la settimana scorsa.
L’ovino è rimasto così per qualche ora sulla barca, divenuta meta di fotografi e curiosi, in attesa delle decisioni delle autorità sanitarie. Il protocollo, infatti, prevede in questi casi l’abbattimento dell’animale a causa dell’afta epizootica, una malattia altamente contagiosa, con focolai in diversi paesi del Nordafrica, che colpisce ruminanti e suini. Ma quando già cominciavano a mobilitarsi le associazioni animaliste è scattato il provvedimento, crudele e irreversibile.
“Non possiamo fare altro” ha spiegato Paolo Giambruno, direttore del dipartimento di Prevenzione veterinaria dell’Asp di Palermo. “Siamo stati costretti a sequestrare l’animale, abbatterlo e distruggere la carcassa ‘in sicurezza’, così come prevede il protocollo”, ha aggiunto sconsolato Pietro Bartolo, responsabile del Poliambulatorio e massima autorità sanitaria nell’isola. Il medico si è recato anche a Palermo per affrontare la questione con i responsabili dei servizi veterinari dell’assessorato alla Salute. Ma non c’é stato nulla da fare. Per la “pecora migrante” né quarantena né rifugio politico, ma le regole ferree del Piano nazionale di sicurezza sanitaria. Si è concluso così, nel peggiore dei modi, il primo sbarco di un animale a Lampedusa.