Lo studio “All in good time: Play development and tactics in foals (Equus caballus)”, pubblicato su Applied Animal Behaviour da Elisabetta Palagi, Veronica Maglieri e Giuliana Modica del dipartimento di biologias dell’università di Pisa e da Chiara Scopa dell’università di Parma, ha cercato di capire la funzione e le strategie di gioco nei puledri appartenenti a un branco di cavalli del Parco Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli allo stato semi-brado, una condizione molto poco studiata in questi animali.
La ricerca coordinatrice della ricerca, la professoressa Palagi, spiega che «Le prime prove di domesticazione dei cavalli risalgono a circa 6.000 anni fa. Da allora, i cavalli sono stati principalmente utilizzati come animali da lavoro e, in tempi più recenti, sono diventati anche uno dei nostri animali domestici preferiti con i quali molte persone riescono a stabilire legami speciali. Nonostante l’impatto economico e sociale che questo animale ha per tutti noi, si sa poco circa il suo comportamento allo stato naturale. La maggior parte degli studi riguarda cavalli in stalla e spesso sono rivolti a risolvere i problemi del cavaliere più che del cavallo».
Le ricercatrici hanno registrato e analizzato i comportamenti di 13 puledri dalla nascita fino a 6 mesi di età. Dai risultati è emerso che «I diversi tipi di gioco dipendono non solo dalle diverse fasi di sviluppo del puledro, ma anche dall’ambiente sociale in cui questo cresce».
La Palagi evidenzia che «Così come accade anche nei nostri bambini, il gioco si fa sempre più complesso con il passare del tempo. I giochi solitari, come mordere e lanciare oggetti o saltare, scalciare e girare su sé stessi, e quelli rivolti alla madre (che spesso fa molta fatica a rispondere!) compaiono e si affermano molto precocemente, suggerendo come esplorazione ed esercizio fisico già nei primi giorni di vita siano cruciali per raggiungere un certo livello di maturazione psicomotoria».
All’Ateneo pisano sottolineano che «Attraverso il gioco, i puledri mettono alla prova le proprie capacità e saggiano quelle dei loro coetanei, utilizzando tecniche di autocontrollo e riduzione della tensione quando necessario. I puledri di madri di alto rango, cioè con una posizione dominante all’interno del branco, erano inoltre più coinvolti nel gioco sociale ed erano capaci di migliore autocontrollo quando giocavano con puledri di madri di basso rango. Questa capacità migliorava la reciproca partecipazione al gioco, creando le premesse per sessioni più appaganti ed efficaci. Inoltre, i giochi erano spesso intervallati da reciproche toelettature del pelo (grooming) che contribuivano a prolungare le interazioni ludiche. Sembra quindi che il gioco nei puledri non sia legato alla necessità di migliorare la propria posizione gerarchica nel gruppo, peraltro già ereditata dalle madri».
La Palagi conclude: «Negli esseri umani e nelle grandi scimmie non esiteremmo ad attribuire tali tattiche a competenze cognitive complesse. Sebbene siamo lontani dall’essere in grado di comprendere appieno il ruolo della cognizione nel gioco sociale, è giunto il momento di considerare altre specie modello, come il cavallo appunto, se vogliamo ipotizzare nuovi scenari sull’evoluzione del comportamento ludico nei mammiferi. Questa tipologia di studio aiuta a capire meglio le tappe naturali di sviluppo e di complessità di questi meravigliosi animali e le informazioni che ne derivano possono essere utilizzate per migliorarne la gestione anche nelle scuderie».