Un proverbio dice: «La disperazione porta ad azioni disperate» e lo studio “Conditional Fetal and Infant Killing by Male Baboons”, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B da un team di ricercatori statunitensi e kenyani, rivela che i babbuini maschi non fanno eccezione. I biologi della Duke University che hanno partecipato alla ricerca hanno descritto l’infanticidio nelle tribù di babbuini che vivono nelle praterie che si estendono tra Kenya e Tanzania, alle pendici del Monte Kilimanjaro, e spiegano che «Alcuni maschi di babbuino in lizza per avere la possibilità di diventare padre della propria prole accelerano le cose in un modo raccapricciante: uccidono i neonati nati da altri maschi e attaccano le femmine gravide di attacco, causando loro aborti». Questo brutale comportamento impedisce alle femmine di portare avanti la gravidanza o di allattare i cuccioli, un periodo di circa un anno nel quale non sarebbero di nuovo sessualmente disponibili.
I principale autore dello studio, Matthew Zipple, che lavora nel laboratorio di laboratorio del Susan Alberts alla Duke University, dice che i babbuini maschi sono più propensi a commettere questi atti di violenza “familiare” quando arrivano in un gruppo dove ci sono poche femmine fertili.
I ricercatori dell’ Amboseli Baboon Research Project che studiano una popolazione di babbuini dell’ Amboseli National Park, nel sud del Kenya, hanno scoperto che, tra il 1978 e il 2015, i maschi di babbuino “immigrati” sono stati responsabili di circa il 2% delle morti dei cuccioli e del 6% degli aborti. Ma quando le femmine fertili erano poche, i livelli di mortalità sono più che triplicati.
Secondo Zipple, «In situazioni in cui i maschi hanno poche opportunità, ricorrono alla violenza per ottenere ciò che è necessario per sopravvivere e riprodursi. Quando le opportunità riproduttive abbondano, questo comportamento è meno frequente».
Questi risultati sono il frutto di uno studio a lungo termine sui babbuini selvatici dell’ Amboseli che dal 1971 vengono monitorati praticamente ogni giorno. I ricercatori statunitensi e keniani spiegano che di solito in un branco di babbuini ci sono uno o due maschi appena arrivati, che hanno lasciato il gruppo in cui sono nati in cerca di opportunità di riprodursi e di trasmettere i loro geni. Mentre esaminavano decenni di dati dei censimenti dei babbuini, i ricercatori hanno notato un misterioso picco di morti di cuccioli e di aborti nelle due settimane successive all’arrivo di un nuovo maschio nel branco. I giovani di uno o due anni non vengono uccisi, quindi la crudeltà dei maschi adulti non è casuale, ma prende di mira le femmine incinte e i lattanti.
Alcuni studi hanno documentato l’infanticidio non solo tra i babbuini ma anche tra leoni, delfini, cavalli e roditori, ma la Alberts, che ha la cattedra di antropologia evolutiva ala Duke, fa notare che raramente gli animali commettono feticidio.
Già negli anni ’80 i ricercatori avevano assistito a due diversi episodi di uccisione di neonati e di aborti provocati alle femmine da parte di maschi, ma si pensava fossero incidenti isolati. In seguito i ricercatori hanno proposto diverse possibili ragioni per cui i maschi possono uccidere cuccioli della loro stessa specie. Una ipotesi delle ipotesi più note è che questo rende le femmine feconde più velocemente. «Uccidere i feti riduce di molto il tempo di attesa di un maschio – dicono i ricercatori – Un babbuino maschio normalmente dovrebbe aspettare almeno un anno perché una femmina in gravidanza o in allattamento termini la gestazione e l’allattamento del suo cucciolo», così i maschi potranno essere i padri dei suoi prossimi figli, visto che le femmine che subiscono un aborto spontaneo o perdono un cucciolo sono di nuovo pronte a concepire entro 41 giorni. I ricercatori hanno scoperto anche che la maggior parte dei maschi killer di cuccioli ha continuato ad accoppiarsi con le madri delle loro vittime.
Solo una minoranza di maschi “immigrati” si rende colpevole di infanticidio e i killer seriali sono di solito quelli che scalano più rapidamente la gerarchia maschile, fino ad occuparne uno dei tre posti al vertice. Per un babbuino maschio dominante il tempo è prezioso: chi riesce a farsi strada per occupare il vertice del branco lo fa con la forza e la violenza, arrivando così a monopolizzare la maggior parte degli accoppiamenti, ma lo può fare solo fino a che mantiene un alto rango.
«Per sfruttare appieno i vantaggi della sua posizione dominante, un maschio arrivato di recente deve agire i rapidamente – spiega ancora la Alberts – Anche i maschi più competitive riescono a regnare in media solo per 12 mesi, prima di essere rovesciati e di perdere il loro vantaggio nel mercato dell’accoppiamento. Hanno una finestre piuttosto ristretta».
La carenza di femmine fertili è particolarmente comune durante i periodi di scarsità di cibo, quando i gruppi di babbuini si allontanano gli uni dall’altro e le femmine hanno un periodo di tempo maggiore del 15% tra una nascita e l’altra, il che vuol dire che i maschi che non uccidono devono aspettare di più.
«Non è solo chi sei, sono anche le circostanze in cui ti trovi che fanno la differenza», dice Zipple.
Dorothy Cheney, una biologa dell’università della Pennsylvania, che non è stato coinvolta nello studio, ha detto allo Smithsonian Magazine che «I risultati non sono sorprendenti». Per decenni la Cheney ha documentato l’infanticidio nei babbuini in Botswana, dove questo comportamento causa almeno il 50% delle morti dei cuccioli . La Cheney dice che nelle popolazioni di babbuini del Botswana, un maschio dominante si accoppia con più femmine per concepire più cuccioli possibile, visto che il suo regno dura ancora meno di quelli dell’Amboseli: solo qualche mese, poi viene sostituito da un altro maschio alfa. E’ questo turnover ancora più rapido di maschi dominanti a far aumentare così tanto l’uccisione di cuccioli.
Cosa possono insegnarci i Babbuini killer sul funzionamento della società umana? La Alberts è convinta che «Strategie comportamentali di questo tipo, che possono sembrare disadattive nel peggiore dei casi ed estremamente sconcertanti nella migliore delle ipotesi, hanno spesso delle spiegazioni i cui principi generali hanno un’ampia applicazione in molte specie. In questo caso, il principio è che i maschi e le femmine possono avere conflitti di interesse in relazione alla riproduzione. E’ nell’interesse del maschio avere subito delle opportunità di accoppiamento, mentre è nell’interesse della femmina di ritardare la riproduzione fino a quando la sua attuale prole diventa indipendente. Questi conflitti di interesse possono dare origine a comportamenti che non sembrano molto belli, ma possono assumere forme diverse nelle diverse specie o sistemi sociali. Alcuni di questi principi potrebbe applicarsi alla società umana,. Nelle società umane antiche, greci e romani facevano spesso ricorso all’infanticidio se il bambino era illegittimo o per nati con un qualche difetto.
Nella società moderna, la ricerca mostra che i bambini che vivono in famiglie in cui il maschio adulto non è il loro padre biologico hanno maggiori probabilità di subire abusi, una tendenza conosciuta tra gli psicologi come “l’ effetto Cenerentola”».
«Il comportamento è adattivo negli esseri umani e babbuini .- dic Kit Opie, un antropologo dll’University College di Londra – E’ questa la forza evolutiva alla base».
Ma ricercatori dicono che bisogna stare attenti a fare un parallelo tra il comportamento di un babbuino selvatico e un essere umano che vive un contesto sociale complesso: «E’ molto difficile entrare nella mente di un animale e chiedergli: “perché hai fatto questo?’”», dice la Cheney e la Alberts conclude: «C’è il rischio di andare nella direzione di una semplificazione del fenomeno umano e, quindi, di non apprezzare le influenze sociali che modellano un comportamento, nonché la flessibilità insolitamente grande del comportamento umano».
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